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Diventare Criminologo

L’esperto in criminologia

L’ESPERTO IN CRIMINOLOGIA

In Italia non è – ad oggi – normativamente regolamentata la figura del criminologo: non esistono corsi di laurea specifici e non esiste un ordine professionale. Al di là della spettacolarizzazione di questa figura all’interno del panorama mediatico attuale, è urgentemente avvertita l’esigenza di una formazione e di una esperienza solide ed affidabili. La scelta di un serio percorso di formazione è dunque determinante verso una professione che è ancora in via di definizione.

La legge 397/2000, che introduce nell’ ordinamento penale il principio della parità processuale tra accusa e difesa, apre nuovi scenari di intervento ed operatività. Si rende infatti necessaria la formazione di un nuovo professionista che sia in grado di affiancare ora anche le parti private del processo (difensore e parti civili): un esperto o un consulente che, attraverso adeguati percorsi di formazione, sia in grado di mettere a disposizione le sue conoscenze nei settori della ricerca, dell’investigazione, dell’attività forense.

Il Cepic si propone di offrire attività formative strutturate e organizzate con rigore scientifico, che possano fornire tutti gli strumenti adeguati per permettere di studiare criticamente il crimine, la devianza, l’investigazione, confrontandosi ed imparando da un pool di esperti con comprovata esperienza sul campo

 

Intervista all’avvocato Dario Bosco

PERCORSI FORMATIVI

 

Intervista all’avvocato Dario Bosco, penalista e criminologo. co-direttore della collana di scienze forensi, centro scientifico editore. responsabile d’area del master in investigazione criminale (temincri), università “La Sapienza” Roma, consulente Cepic

Cosa fa il criminologo?

Studia i fenomeni criminali attraverso l’utilizzo di analisi criminali basate su comprovate metodologie scientifiche e statistiche. E’ una professione diversa dallo psicologo, dallo psichiatra dal giurista, e dalle altre professioni, cioè essere una di quelle cose non significa automaticamente essere criminologi ed avere competenze in materia.

Come opera e in che contesti?

Essenzialmente può operare in due ambiti, ricerca scientifica e ambito forense-giudiziario. In questo secondo caso, in Italia, opera quasi esclusivamente come esperto in fase di esecuzione della pena all’interno degli istituti o come membro esperto nei Tribunali per i minorenni e presso i Tribunali di sorveglianza.

Come si diventa criminologo, quale percorso formativo è più indicato?

Sicuramente bisogna conseguire una laurea specialistica in psicologia, sociologia, giurisprudenza ed in medicina con specializzazione in medicina legale o psichiatria. E’ poi necessario svolgere formazione specifica attraverso corsi di specializzazione, master di primo e secondo livello, o altri corsi qualificati. Nonchè tenersi costantamente informati sulle ricerche svolte e pubblicate in ambito internazionale.

Con la criminologia si lavora? Che applicazione trova oggi la figura del criminologo?

E’ una sfida aperta, ma se non si farà un passo in avanti nello sviluppo di ricerca che abbia valore e dignità scienitifica, come avviene anche all’estero, la criminologia rischia fermarsi al passato e di perdere il treno per essere una delle nuove scienze che si stanno affacciando e che si affacceranno in ambito forense.

Cos’è il criminal profiling?

Il criminal profiling è una tecnica, basata essenzialmente su metodologia scientifico-statistica, che si offre come supporto all’investigazione criminale “classica” per la scoperta di un reo, autore di uno o più reati, non ancora identificato. L’offender profiling utilizza quella tecnica per inferire le più probabili caratteristiche socio-demografiche, criminali e, se possibile, psico-comportamentali di un autore non noto di reato o di una serie; il Crime Linking, utilizza quella tecnica per collegare una serie di reati fra di essi o per collegare casi irrisolti a casi già attribuiti ad un probabile colpevole; il Geographical Profiling serve ad indicare la probabile area di residenza di un autore sconosciuto di una serie di reati attraverso l’utilizzo di una metodologia scientifico-matematica .

La figura del profiler trova applicazione nel contesto italiano?

Non ancora, in parte perchè non esistono studi scientificamente validi e pubblicati in riviste internazionali su determinate categorie di criminali a cui far riferimento per sviluppare efficaci metodiche di criminal profiling in italia; in parte perchè l’utilizzo mediatico per molti anni di questa figura ne ha snaturato i compiti e minato la credibilità professionale.

Qual’è il suo contributo all’indagine? Che ruolo svolge?

Il ruolo del profiler è di supporto all’investigazione, non si sostituisce agli investigatori ma opera al loro fianco, dove richiesto, fornendo analisi socio-demografiche e psico-comportamentali, particolarmente utili, per esempio, nel priorizzare liste dei sospettati ed attività investigative, che però, lo ripeto, senza ricerca scientiifca sulle singole categorie criminali restano mere ipotesi non utili ne utilizzzabili.

Quanto viene applicato il criminal profiling in Italia?

L’idea è che in alcune forze dell’ordine ci siano dei profiler. Questo non corrisponde al vero ed il concetto di profiling accettato dalla comunità scientifica di riferimento non è di fatto applicato mai in Italia.

 

Intervista alla dott.ssa Chiara Camerani

Intervista alla dott.ssa Chiara Camerani psicologa, Direttrice Cepic – Centro Europeo di Psicologia Investigazione e Criminologia

 

Dovremmo allestire un articolo per spiegare ai nostri lettori su Roma, quali possono essere i percorsi da seguire per avviarsi ad una carriera in Criminologia, so che non esiste un percorso principe ma quali sono le strade possibili?

Se posso esser sincera, io consiglio sempre una laurea “vera”, che permetta anche sbocchi lavorativi alternativi, visto che ad oggi nel campo della criminologia si lavora solo come formazione e poco, come ricerca. In assenza di un albo in cui sono identificati specifici requisiti e del far west che imperversa nel campo, mi pare che anche il fornaio sotto casa tra un po’ possa diventare criminologo, se fa un master e legge due libri… Per entrare in ambito criminologico in modo serio e concreto, è meglio scegliere una laurea tecnica. Le lauree specifiche (chimica, fisica, biologia, medicina legale…) permettono di subentrare in ruoli tecnici in polizia o carabinieri ( e seguire il decantato fascino di CSI)… a patto che appaiano i tanto agognati concorsi per ruoli tecnici…. Alternativa può essere la laurea in psicologia o psichiatria (meglio la seconda, in quanto lo psicologo come ruolo tecnico non è ancora molto utilizzato nè tenuto in gran conto) in questo caso si aprono le porte del carcere (per lo psicologo, in senso buono) o dell’ambito legale; perizie, audizioni protette….

Consiglierebbe una laurea in scienza dell’investigazione?

Riguardo la facoltà di scienze dell’investigazione, ci sono ottimi docenti e la preparazione di base in psicologia è quasi migliore di quella che viene data a psicologia stessa, ma subentra sempre il problema di come collocare il dottore in scienze dell’investigazione, finchè la figura non viene regolamentata. Allora la migliore applicazione di questo percorso di laurea è come avanzamento nelle forze dell’ordine ma ad oggi che io sappia la laurea in scienze dell’investigazione non è ancora equiparata a lauree come medicina, psicologia o giurisprudenza. C’è però il “vantaggio” che dopo la laurea triennale hanno inventato la specialistica e ora diventeranno tutti psicologi (con buona pace di chi ha studiato 5 anni, fatto tirocinio, esame di stato e specializzazione e con grossi timori, almeno da parte mia, che qualcuno abbia la cattiva idea di vedere pazienti, anche perchè oggi c’è enorme ignoranza da parte dei fruitori, sulla differenza tra psicologo, psicologo junior , psicologo venuto da scienze dell’investigazione, e psicoterapeuta… ma questa è un’altra storia…)

Concludendo?

Il mio consiglio è una buona laurea solida e poi un percorso costante di aggiornamento e formazione che preveda master/corsi/specializzazioni in criminologia.

 

Intervista al Colonnello Giorgio Stefano Manzi

Intervista al Colonnello Giorgio Stefano Manzi, Comandante del Reparto Analisi Criminologiche del Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche, già consulente della Commissione Parlamentare Infanzia, docente nei masters Temincri della Università “La Sapienza” e “Abuso sessuale” della Università di Ferrara, esperto esterno del Ministero Affari Esteri per le tematiche d’abuso sessuale.

Esiste un percorso formativo per diventare profilers?

Personalmente ritengo molto pericolose le domande come questa. Ed ancora più azzardato fornire risposte. Non esiste, e credo che mai potrà esistere, alcuna specifica “ direttrice didattica” circa il curriculum studiorum da intraprendere per divenire o praticare come “profiler”.

Principalmente perché la legge penale e processuale italiana ne vieta l’impiego ( artt. 220 e segg. del c.p.p. ). E’ espressamente impedito, infatti, di attuare indagini psicologiche o caratteriali ( quindi invasive dell’intimo di una persona ), se non indirizzate a valutare il vizio di mente, più o meno incidente sulle capacità dell’autore di un reato. Peraltro, questa attività è appannaggio degli psichiatri.

Solo il 133 c.p., in una qualche piccola misura, dà facoltà di “indagare e valutare” la psiche dell’autore, con la finalità di munire il Giudice di strumenti di valutazione più idonei per comminare una più giusta sentenza di condanna, dopo aver valutato “intrapsichicamente”, si potrebbe dire, la portata del dolo.

Qualche spiraglio lo offrono le indagini difensive ed i collegi della difesa di imputati. Ciò posto, ad esclusione dell’intervento circostanziato delle figure professionali della psicologia, limitatamente alle “questioni” sui minori (vittime o testi), pare proprio che per criminologi e profilers, in Italia non ci sia spazio. Almeno come figura incidente sul piano della economia e dialettica dibattimentale “formale” e non di “suggerimento”. In questo, poi, non si deve cedere alla attrattiva che fictions, romanzi e altri spettacoli ci propinano al riguardo. Qualcosa inizia ad intravvedersi nel contesto delle attività di Polizia Giudiziaria, cioè quelle proprie delle Forze di Polizia allorquando si trovano, tipicamente, dinanzi ad un reato violento, efferato o senza motivo. In tale cornice l’urgenza di ridurre i tempi investigativi ( maggiormente se in caso di delitti seriali ) e di evitare sprechi di danaro, personale e tempo, sta consigliando di ricorrere a figure professionali interne alla Istituzione ( non va dimenticata la ”qualifica” giuridica necessaria ) per valutare “criminologicamente” la possibilità di stendere un profilo del criminale.

Quindi, la “pruderie” criminologica di questi ultimi anni non va confusa con il processo penale, con l’accertamento di colpevolezza, con i diritti ed il diritto.
Il nostro diritto, per fortuna, si poggia su basi culturali antiche e collaudate, sul diritto naturale e sul diritto positivo: le funzioni investigative e giudiziarie, anche nella loro componente criminologica o di psicologia investigativa, si strutturano su requisiti fondamentali. Lo Stato ha assegnato ad alcuni gruppi finiti di suoi cittadini una serie di funzioni giudiziarie e investigative – quindi incidenti sulla persona – variamente organizzate ( Ufficiali ed Agenti di P.G., Ufficiali ed Agenti di P.S., Magistrati, Giudici ) ed i requisiti per accedere a queste funzioni sono ampiamente note : laurea in giurisprudenza o scienze politiche, concorsi interni per le nomine, concorsi pubblici ecc…

A queste figure si affiancano, ad occasionem, altre figure professionali, spesso emergenti, del mondo della psichiatria, della psicologia, del diritto, il cui aiuto alla “giustizia” si concreta nel fornire alle parti un quid pluris di conoscenza. Ma il peritus peritorum è e rimane il Giudice, l’accesso alla scena del crimine – prima facie – è e rimane della P.G., la sentenza è e rimane del Giudice e dei giudici popolari.
Tutto il resto è ricerca, passione , interesse, abnegazione anche. Ma talvolta è anche commercio, opportunismo o, come si dice in gergo, “vasetto” televisivo o mediatico.

Quindi cosa suggerire ai giovani che vogliono perseguire questo cammino?

Profiler” è una parola che quindi dice tutto e dice niente : suggerirei di studiare per accedere ad una professione, formalmente e sostanzialmente, tradizionale. Nel campo della medicina, della psichiatria, della psicologia e, solo dopo, di dar sfogo alle passioni criminologiche, che vanno sempre collocate nei rigidi, ma necessari, paramenti della funzione giudiziaria

 

 

CRIMINOLOGIA E DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

CRIMINOLOGIA E DEONTOLOGIA PROFESSIONALE: “ETICA DELLA PROFESSIONE E COMUNICAZIONE NEI MASS MEDIA CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’AMBITO DELLA CRONACA”

 

In virtù della assidua partecipazione da parte dei nostri collaboratori e docenti ai principali programmi radio televisivi, il nostro Centro, condivide, aderisce, sostiene e diffonde, le linee guida per un’etica della professione e della comunicazione nei mass media, con particolare riferimento all’ambito della cronaca.

 

 

Ordine degli Psicologi del Lazio – @Newsletter n. 11 del 8 luglio 2011

Linee Guida “Etica della professione e comunicazione nei mass media con particolare riferimento all’ambito della cronaca”

Premessa

Le presenti Linee Guida traggono origine dalla necessità di indirizzare e aiutare gli Psicologi, coerentemente col quadro normativo e deontologico vigente, ad osservare i canoni di una corretta condotta nell’ambito della comunicazione mass-mediatica, in particolare quando si riferiscono ad argomenti di attualità e a fatti di cronaca.

Sempre più spesso gli Psicologi sono chiamati dai mezzi di comunicazione di massa ad esprimere pareri professionali e a proporre riflessioni ed interpretazioni su episodi di natura criminale.

Generalmente le opinioni richieste riguardano diversi aspetti: commenti sulle indagini, predizioni e suggerimenti operativi, considerazioni su indagati, imputati, condannati e testimoni, valutazione di gesti e comportamenti dei singoli protagonisti, descrizione delle vittime, analisi della scena del crimine e del contesto socio-ambientale, ecc. In tutti questi i casi, agli Psicologi è chiesto di mettere a disposizione competenze di tipo professionale e tecnico-scientifico, allo scopo di favorire e diffondere una maggiore comprensione dei singoli episodi e di contribuire ad orientare le opinioni ed i giudizi del pubblico.

Il continuo coinvolgimento degli Psicologi e le numerose richieste di collaborazione rivelano l’accresciuto prestigio della nostra professione e la diffusa aspettativa di un suo significativo contributo alla conoscenza ed alla comprensione della realtà.

Trattasi di un fenomeno estremamente positivo, che può apportare indubbi benefici all’immagine della nostra categoria professionale purché gestito dai protagonisti nel rispetto delle regole deontologiche.

In una situazione complessa come quella della comunicazione mediatica di massa, spesso connotata da forti profili commerciali, la nostra categoria professionale è infatti soggetta a richieste che a volte contrastano con gli obblighi e i doveri professionali.

Si impone pertanto l’esigenza di fornire indicazioni ed opportuni richiami al Codice Deontologico, affinché il contributo dei singoli colleghi sia efficace e coerente senza ledere l’immagine professionale o violare i precetti deontologici e, nello stesso tempo, contribuisca alla diffusione delle conoscenze evitando luoghi comuni, generalizzazioni indebite o, peggio ancora, pericolosi “sconfinamenti”.

Paragrafo 1

Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani offre, nel suo complesso di principi generali e precetti puntuali, un quadro completo di disciplina etico-professionale dal quale possono ricavarsi, sia in via diretta che ermeneutica, anche le regole applicabili alle fattispecie delineate in premessa.

Si segnalano, in primis, i seguenti principi generali:

– l’art.3, comma 4 C.D.: “Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze”.

– l’art.38 C.D.: “Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale”.

Nel contesto della comunicazione mass-mediatica, è altresì utile ricordare:

– l’art.39 C.D.: “Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte”;

– l’art.36, comma 1 C.D.: “Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale”;

– l’art.7 C.D.: “Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo, su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata ed attendibile”;

– l’art.11 C.D.: “Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti”. Tra queste “ipotesi”, di deroga al principio del segreto professionale, in questa sede rileva quella ex art.12, comma 2 C.D.: “Lo psicologo può derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale… esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso”;

I fatti di cronaca, ed in particolar modo quelli di cronaca nera, vedono spesso impegnati gli Psicologi nei ruoli di Consulente Tecnico d’Ufficio (C.T.U.) a supporto del lavoro dei Magistrati e di Consulente Tecnico di Parte (C.T.P.) a supporto dei soggetti personalmente coinvolti nelle vicende processuali.

In entrambi i casi, le regole di procedura consentono allo Psicologo un accesso privilegiato a dati, perlopiù sensibili, informazioni e documenti che possono anche non essere coperti dal segreto istruttorio. Si pensi, ad esempio, al processo civile, così come a quello penale nelle fasi in cui gli atti non sono più coperti dal segreto istruttorio e/o dal divieto di pubblicazione ex art.114 Codice di Procedura Penale (previsto principalmente per la categoria professionale dei Giornalisti, ma che vale per tutti i protagonisti del processo penale o per chiunque entri in possesso di carte processuali).

Ciò nonostante, i Codici di Procedura (Civile, Penale ed Amministrativo) e le norme correlate non contengono specifiche disposizioni sulla comunicazione mass-mediatica da parte dei Consulenti Tecnici sui fatti di causa.

Questo non significa che, al di fuori dei casi di segreto istruttorio o di divieto di pubblicazione, lo Psicologo C.T.U. o C.T.P. possa ritenersi libero di divulgare i dati e le informazioni apprese nello svolgimento del suo incarico. Al contrario egli è tenuto ad osservare scrupolosamente il principio del segreto professionale di cui all’art.11 C.D. sopra riportato, salvo la deroga ex art.12, comma 2 in caso di “…valido e dimostrabile consenso del destinatario della prestazione…”, che però può valere per i soli dati appresi dal diretto interessato.

 

Paragrafo 2

Le tipologie di comunicazione attraverso i media possono essere diverse.

La divulgazione riguarda la comunicazione su temi di tipo scientifico e di pertinenza psicologica, temi che, pur utilizzando linguaggi semplificati per raggiungere tipologie inesperte di pubblico e di lettori, devono essere oggetto di presentazione articolata e discussione approfondita. Lo psicologo deve essere sempre consapevole dei rischi connessi alle iniziative divulgative; quindi deve evitare di semplificare i problemi, offrire l’illusione di scorciatoie e soluzioni immediate, fare ricorso ai luoghi comuni. Al contrario, compito dello psicologo è quello di aiutare a cogliere la complessità dei fenomeni, la molteplicità delle interpretazioni, la difficoltà delle scelte operative.

La discussione tecnica riguarda gli interventi che avvengono in contesti di confronto con esperti, anche di diverse discipline. In tal caso: – 1) lo Psicologo che non ha una conoscenza diretta dei fatti e delle persone coinvolte può discuterne da un punto di vista del metodo e delle conoscenze teoriche generali acquisite dalla comunità scientifica chiarendo i limiti del suo apporto; – 2) lo Psicologo che ha invece una conoscenza diretta dei fatti e delle persone coinvolte (ad esempio quale loro Psicoterapeuta o in veste di C.T.U. o C.T.P.) è opportuno che non esprima opinioni e pareri sullo specifico caso, seppure nel dovuto rispetto del segreto professionale o nell’ambito della relativa deroga ottenuta dal diretto interessato, e che si astenga dall’offrire contributi di tipo scientifico e divulgativo perché potrebbe essere frainteso.

La comunicazione centrata su aspetti non direttamente professionali, o collateralmente professionali, come la partecipazione a iniziative pubbliche o trasmissioni televisive e radiofoniche di intrattenimento o di carattere spettacolare, riguarda invece quelle situazioni in cui lo Psicologo viene coinvolto più come quisque de populo che come tecnico, e dunque deve fare attenzione a chiarire che è a tale titolo che si esprime, onde evitare di fornire al pubblico l’immagine dello Psicologo come “tuttologo” o generico opinionista. Se invece si esprime su aspetti professionali in relazione al tema trattato, deve chiarire che le sue considerazioni si collocano al livello generale dei contenuti scientifici disciplinari e non si configurano come un approfondimento tecnico o metodologico riferito al fatto specifico di interesse mediatico.

Paragrafo 3

Alla luce di quanto sinora rilevato, non è corretto ad esempio uscire in veste di C.T.U. o C.T.P. da un’operazione di sopralluogo o colloquio nell’ambito di una indagine e partecipare a trasmissioni televisive o rilasciare interviste a giornali sulle tematiche di cui si è venuti a conoscenza in una situazione, ovviamente, privilegiata. Neppure è deontologicamente accettabile parlare di aspetti meno centrali, perché comunque ci si espone in una situazione che dovrebbe imporre totale riserbo e si può correre il rischio di fornire impressioni errate.

D’altra parte, se non si è a diretta conoscenza della situazione, la logica professionale impone di non esprimere opinioni perché si rischia di fornire pareri generici ed ingiustificati. In questo caso è però possibile comunicare sul piano metodologico e conoscitivo, chiarendo bene che si stanno esponendo ipotesi e considerazioni che fanno riferimento a studi nazionali ed internazionali, casistiche documentate e modelli teorici di riferimento.

In sintesi, si configurano due tipologie di situazioni:

1.     lo Psicologo è coinvolto professionalmente, conosce la situazione in modo diretto ed è dunque sottoposto a vincoli. Questo coinvolgimento risulta incompatibile con partecipazioni sul tema, fino a quando il relativo procedimento non sia definitivamente concluso;

2.     lo Psicologo non  è coinvolto professionalmente e, dunque, può comunicare attraverso i media facendo riferimento ai suddetti piani di contenuto e di metodo, chiarendo che si tratta di sistemi di riferimento probabili ma non certi nella attuale situazione.

Paragrafo 4

Qualora, stante quanto sopra, lo Psicologo partecipasse a trasmissioni televisive e radiofoniche, interviste per riviste e quotidiani, comunicazioni su internet ecc., opportunamente osserverà tutte le precauzioni e cautele previste dal Codice Deontologico e:

1.     Farà attenzione a fornire sempre un’immagine della Professione di Psicologo che sia coerente con i principi condivisi dalla comunità scientifica e professionale nazionale e internazionale.

2.     Farà riferimento a teorie e metodologie consolidate e accreditate nella professione e nella comunità scientifica.

3.     Farà attenzione a non confondere i diversi contesti e quindi non interpreterà segni, linguaggi non verbali, sogni, atteggiamenti o quanto altro, nelle situazioni di comunicazione mediatica e al di fuori del contesto professionale.

4.     Non proporrà diagnosi di alcun tipo, neppure in forma ipotetica, né discuterà confermandole o contestando le diagnosi effettuate da altri. Non esprimerà pareri negativi sui Colleghi e sul loro operato.

5.     Eviterà di somministrare o interpretare test psicologici per non dare un’immagine gravemente fuorviante e dannosa per la professione.

6.     Non commenterà azioni o contenuti riportati in video senza premettere che i commenti possono soltanto essere ispirati a piani del tutto probabilistici e non riferirsi alla specifica situazione.

7.     Non valicherà i confini del proprio agire professionale esprimendo per esempio valutazioni di carattere giuridico o medico, ma si manterrà sempre entro i limiti della propria formazione, esperienza e competenza.

8.     Valuterà con prudenza l’ipotesi di partecipare a discussioni pubbliche su indagini che non conosce in via diretta (qualora ne avesse conoscenza in qualità di C.T.U., C.T.P. o di titolare di altri rapporti professionali con i diretti interessati non potrebbe discuterle); in ogni caso si asterrà dal commentare e giudicare gli esiti e le procedure e non darà l’immagine di sostituirsi ai competenti organi all’uopo investiti.

9.      Non esprimerà convinzioni di colpevolezza o di innocenza delle persone coinvolte; non si presterà a strategie altrui che comportino il sostegno ad una specifica tesi difensiva o accusatoria.

10.  Controllerà sempre, per quanto possibile, che nel montaggio delle trasmissioni o nel testo delle interviste le sue dichiarazioni non appaiano in contrasto con i doveri e gli obblighi esplicitati nel Codice Deontologico ed in parte riportati nelle presenti Linee Guida.

Prof.ssa Anna Maria Giannini (coordinatore)

Dott. Paolo Capri

Prof. Roberto Cubelli

Avv. Luca Lentini